Quando hai capito di voler scrivere? Quando hai desiderato di voler pubblicare?
Il mio percorso di scrittura è stato abbastanza strano: parto come lettore mio malgrado, nel senso che sin da bambino sono stato educato dalla mia famiglia a leggere (e forse a fare meno voli pindarici in senso artistico). Infatti, nonostante scrivessi davvero molto sin dalle elementari, siccome mi ero convinto di essere scarso, non ho mai praticato la scrittura al di fuori delle mie pulsioni. Poi, di punto in bianco, arrivato al liceo, dopo un po’ di rodaggio ho iniziato a ricevere gratifiche, e ho reagito con la poesia. Credo che proprio quando avevo 16 anni ho deciso che da grande sarei voluto essere uno scrittore. Ok, ora, a 34, ancora non ci sono riuscito, ma sognare non fa male a nessuno, no?
Hai autori preferiti? Opere che ti sono rimaste particolarmente nel cuore e magari ti hanno indotto alla scrittura?
A dire il vero non ci sono opere che mi abbiano indotto a scrivere, anzi, più che altro ho iniziato a scrivere romanzi e storie per disperazione. Nel senso che ho voluto scrivere quello che in realtà mi sarebbe piaciuto leggere, che sentivo mancare nelle letture che ho fatto, un po’ per ignoranza un po’ perché forse certi argomenti non venivano sviluppati nel modo in cui avrei voluto, o semplicemente non dicevano le cose che io avrei voluto dire ai potenziali lettori. Ok, riconosco che è un po’ contorto come ragionamento. Al di là di questo, ci sono degli autori che mi piacciono molto e che seguo da tempo, dei quali difficilmente mi perdo le opere: David Leavitt, Tondelli, Matteo B. Bianchi, Luigi Romolo Carrino, Luca Bianchini… se penso a tracce LGBT, ma anche Banana Yoshimoto, Laura MacLem, Lansdale, Bambaren, senza scordare il re Stephen King.
Qual è stato il tuo primo testo? Sei partito direttamente alla stesura di un racconto o di un romanzo, oppure hai cominciato con diari, poesie e testi personali?
Il primissimo testo della mia infanzia è stato un tentativo di musical. Sì, nella mia classe, alle elementari, eravamo piuttosto creativi! Ho passato gran parte dell’adolescenza a scrivere poesie e riflessioni nel mio diario, dedicate ad amici, amori o più semplicemente a stati d’animo che attraversavo. Ho iniziato a sentire stretta la poesia solamente in età più adulta, verso i vent’anni, dove ho provato a imbastire le prime trame di racconto, ma mi sono buttato sul romanzo lungo. Ok, troppo lungo a dire il vero, e tuttora inconcluso. Lo confesso, il primissimo racconto che ho scritto è nella raccolta che da poco ho pubblicato (Concatenazioni) e dopo vari rimaneggiamenti, è diventato “Un beso solo” che oggi conoscete. Ho scritto qualche altro romanzo solo successivamente, il secondo in ordine di tempo, dopo un primo inedito, è stato Polvere, anche se poi è andato in pubblicazione solamente quest’anno e, per quanto mi riguarda, finora è quello a cui nel bene o nel male sono rimasto maggiormente legato.
Polvere è un romanzo carico di sentimenti, sensazioni e tormenti, cosa ti ha ispirato? Cosa vuoi comunicare con quest’opera?
A essere sinceri avevo bisogno di raccogliere le idee sulle cose che sentivo in merito a controllo sociale, omosessualità e doppia vita. Polvere ha il merito di avermi fatto uscire dalle mie narrazioni rosa e senza pensieri per proiettarmi direttamente in storie un po’ più impegnate, sul versante sociale e soprattutto sul versante intimo. È stato un piccolo romanzo che mi è esploso dentro e ha preso forma in pochissimo tempo. Volevo descrivere cosa significava amare qualcuno e non poterlo nel contempo fare, e ho usato come sfondo la mia terra e un tempo dove le persone effettivamente non potessero essere libere di vivere per quello che erano secondo la propria natura.
Il risultato è stato duplice: da un lato ho cercato di imprimere una storia sul ricordo e sulle scelte sbagliate, solo per poter dire che si può vivere diversamente se circondati da una società attenta all’altro e ai suoi desideri per realizzarsi, dall’altro ho lavorato per costruire una dedica alla mia terra, sulla quale non ero mai riuscito a scrivere abbastanza perché temevo che le mie storie e le mie tematiche non potessero adattarsi a quella dimensione e alla tradizione letteraria che dal passato è palpabile ancora oggi. Non so se ci sono riuscito, se devo essere sincero. Ma perlomeno ho provato a confrontarmi con me stesso, perché comunque vada, l’appartenenza alle mie origini, è una parte importante di me.
Concatenazioni è un insieme di racconti alla base dei quali c’è il tema dell’amore da diversi punti di vista: come sei riuscito a svilupparli? C’è anche il tuo tra questi?
Quelli di Concatenazioni sono racconti che ho scritto in fasi diverse della mia vita, per cui ci saranno sempre dei riferimenti a me, a quello che ho provato o al mio quotidiano. Io non penso che si limitino a parlare d’amore, quanto invece, attraverso le relazioni tra persone dello stesso sesso, esprimono più che altro l’omosessualità secondo tutti i punti di vista plausibili: un fattore che, sulla base della sfaccettatura, diventa romantico, possessivo, addirittura vendicativo o non riconosciuto dalla legge o dalla società. Ma un quadro che, nei miei intenti, doveva dare un impatto di normalità. Diciamo che nel tempo, spesso anche inconsapevolmente (perché ho al mio attivo circa 100 racconti brevi di diversi generi), ho cercato solo di scrivere sia per il piacere di farlo che per raccontare al lettore un’unica grande verità: non c’è differenza.
Molti di quei racconti hanno avuto genesi semplicemente perché ho provato un’emozione, o una data situazione mi ha ispirato talmente da doverci scrivere su. In effetti trattano talmente tante sfaccettature dei rapporti umani che alla fine il fil rouge diventa proprio l’emozione e la relazione che sta alla base di ogni singolo testo. Diciamo che non ci sono stati dei tempi o degli intenti precisi che volessero comporre il puzzle di Concatenazioni, quell’idea mi è sorta dopo, davanti a tutto il materiale che in questi anni ho prodotto (e mi auguro che non sia l’unica raccolta che pubblicherò) e che ho voluto riunire secondo uno schema o meglio, secondo un argomento. Qui è centrale l’omosessualità e il legame, in un'altra che ho in mente sarà la figura femminile (semmai riuscirò a chiuderla con gli ultimi racconti che ho in testa ma che non ho il tempo di scrivere).
Quando scrivi ti ispiri a te stesso, a ciò che conosci, a ciò che provi, o cerchi di mantenere un certo distacco dalla tua realtà?
Nel bene o nel male quando un autore scrive, anche magari di mondi alternativi o di fantasia, si cimenta in primo luogo con se stesso. Era stato proprio Flaubert a dire tanti anni fa che “Madame Bovary c’est moi!”, per cui credo che ciascuno di noi metta necessariamente un pizzico di sé nelle proprie storie. Nel mio caso le analogie sono diverse, tutte quante plausibili. Ci sono dei testi che magari mi coinvolgono più di altri proprio perché quella che vado a raccontare è la mia realtà, anche variando nomi o situazioni, ma credo anche che questa a volte sia un’arma a doppio taglio nel momento in cui una critica non diventa più un rilievo al testo ma viene subita a livello personale. Per cui ultimamente ho imparato a tenermi distaccato dalla storia che scrivo, senza però perdere di vista il motore che mi ha spinto a farlo. Diciamo che nelle mie pubblicazioni io sono presente, a volte intersecando diversi riferimenti anche alla mia persona e al mio quotidiano, ma si alternano a vicende o persone idealizzate o di cui, comunque, non ho esperienza diretta. L’importante, per me, è mantenere il più possibile la verosimiglianza di quello che racconto, sia nella storia che nelle emozioni provate. Difficilmente riuscirei a scrivere di argomenti che non conosco o che non ho sperimentato in prima persona o, ancora, sui quali non mi sono documentato abbastanza.
A quale delle tue opere sei più affezionato e perché? Quale è stata più difficile da terminare, quale invece hai scritto con più scioltezza?
Nel corso del tempo ho scritto talmente tanto che un po’ fatico a scegliere a cosa mi senta più legato, forse perché ciascuna delle opere ha per me un significato particolare, dettato da un’emozione e da una riflessione a corredo. Anche la genesi delle storie che ho scritto è stata differente, così come la durata di elaborazione. Polvere, per esempio, è nato in due mesi scarsi di scrittura intensiva, e nonostante abbia sedimentato per qualche tempo prima di trovare un editore, ha subito in questi anni poche modifiche. Altri romanzi invece hanno richiesto delle elaborazioni diverse, un inedito che ho rivisto l’anno passato, nella sua stesura originale ha richiesto 5 anni di lavoro, un altro concluso invece l’anno passato è nato dopo 11 mesi di travaglio. Eclissi, il mio esordio del 2012, è nato dopo cinque mesi di lavoro intenso. Le raccolte di racconti mi viene più difficile potergli dare un’estensione temporale perché alcuni racconti hanno anche più di dieci anni nel groppone.
Ovviamente la durata di scrittura deriva dal tempo a disposizione e dal tipo di storia, per cui alla fine credo che ogni racconto o romanzo ha il tempo di gestazione adeguato al suo respiro, o perlomeno quello che riesco a concedergli tra i mille impegni che devo rincorrere, primo fra tutti il lavoro che mi consente di sopravvivere e pagare il mutuo.
Come sei arrivato alla pubblicazione? Il destreggiarsi tra le case editrici , i primi contatti, le risposte etc. Ti va di parlarci del tuo viaggio nel mondo dell’editoria? Cosa consiglieresti agli autori alle prime armi?
Il mio percorso è stato strano, di sicuro pieno di errori. Ho iniziato a mandare a destra e a manca il mio primo romanzo, convinto che fosse una storia piacevole e interessante, perché dietro c’ero io in prima persona. Di fatto è ancora inedito, proprio perché a parte la voglia di scrivere non avevo strumenti per valutare le mie competenze e soprattutto per apprendere la tecnica. L’interazione con la rete e i forum di scrittura (Writer’s Dream su tutti), il confronto con i lettori, devo dire che mi ha aiutato parecchio a canalizzare le mie pulsioni e a dare un aspetto più adeguato ai miei scritti. Nonostante tutti i rifiuti, da editori ad agenzie letterarie che, sulla base del lavoro di prima stesura mi rifiutavano dicendomi pure di dedicarmi ad altro, ho perseverato, mettendomi in testa che aver voglia di scrivere e raccontare una storia non fosse sufficiente per raggiungere l’agognata pubblicazione. Le prime soddisfazioni, tempo dopo, sono arrivate con i concorsi per racconti brevi, dove ho raggiunto qualche risultato apprezzabile, poi, nel 2012, quando ormai avevo perso le speranze, mi fu proposta la pubblicazione del mio terzo romanzo da uno dei pochi editori che avevo scelto di propormi, e da lì è iniziata l’avventura nel mondo editoriale. Perché alla fine credo che farsi pubblicare, come erroneamente crediamo, non sia un punto di arrivo ma solo la partenza di un percorso arduo e difficile, in cui non bisogna mai demordere. Piano piano poi sono riuscito a pubblicare ancora, con Polvere e Concatenazioni ora nel 2014, e con qualche consapevolezza in più su come muoversi nel mondo della piccola editoria free (piccola nel senso non dispregiativo del termine, of course). Di sicuro ho imparato che non puoi pensare di proporti agli editori senza essere certo o perlomeno convinto che la tua proposta sia, in qualche modo, pertinente alla loro politica editoriale. Per cui da un invio indiscriminato a chiunque, sono passato a un invio consapevole per piccole liste dopo che personalmente ho valutato il lavoro editoriale dell’azienda, documentandomi e leggendo le loro pubblicazioni. Non so se sono in grado di dare dei consigli agli autori alle prime armi, perché di fatto non sono arrivato da nessuna parte nemmeno io e nemmeno credo di essere capace di insegnare nulla a nessuno. Posso solo dare un consiglio su tutti: Leggere, lavorare sui testi anche quando siamo convinti di non poter fare di più su un testo, documentarsi, leggere ancora, accettare le critiche costruttive e, soprattutto, diffidare dagli editori che chiedono soldi per pubblicarti. Perché scrivere è un sogno, e in quanto tale non può avere un prezzo. Un vero editore non chiede soldi, ma investe su di te perché ci crede, se non lo fa, significa soltanto che non è lui per primo convinto del tuo valore, allora qualche domanda anche noi autori ce la dovremmo fare. Questo, perlomeno, è il mio pensiero.
Cosa pensi del self-publishing? Hai mai pensato di auto pubblicare un tuo testo?
Ho un grandissimo rispetto per chi si autopubblica e ritiene di poter diventare imprenditore del proprio lavoro di scrittura. Io semplicemente non me ne sento in grado, ho bisogno del confronto con gli addetti del settore, convinto soprattutto che se non ricevo proposte o se il manoscritto non viene selezionato, significa soltanto che il mio lavoro, per qualsiasi motivo, non ha i requisiti minimi per essere pubblicato. Per cui, fino a oggi, non ho mai preso in considerazione l’autopubblicazione che, nel bene o nel male, comunque consente a chiunque di entrare nel mercato senza freni. Concordo sul fatto che a volte nel self ci siano opere molto belle, ma finiscono comunque nel mucchio anche di coloro che pubblicano solo per esaudire un desiderio personale di definirsi in qualche modo autore. Questo lo asserisco da lettore, per cui spesso sono portato a diffidare dalle pubblicazioni senza filtri. Massimo rispetto per chi crede nel proprio progetto e fa un passo del genere, io non me la sento, tutto qui. L’imprenditorialità diretta sul mio lavoro “artistico”, credo che non faccia per me. Non escludo comunque che un domani potrei mettere in download tassativamente gratuito qualche storia, ma di sicuro non con i meccanismi dei self publishing… poi chissà, il futuro è sempre imprevedibile.
Una cosa è certa, preferisco il self publishing al pagare un editore per essere pubblicati. L’EAP è una pratica ben diversa dall’autopubblicazione, e le due cose non andrebbero confuse.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Stai lavorando a nuovi testi?
Le idee sono sempre tante, è il tempo che scarseggia, per seguirle come vorrei. Ho un inedito, il primo romanzo completo (Falene) da me scritto che ho rivisto l’anno passato e per il quale ho ricevuto dei complimenti da parte di alcuni editori (ma al momento nessuna proposta concreta), ho finito a novembre un altro romanzo (Valzer di Famiglia), su cui so di dover rimettere mano, dove sposto il campo di riflessione ad altri ambiti che non riguardano solo l’omosessualità in senso stretto, e attualmente sto scrivendo il sequel di Falene, perché sento che la storia sia pronta per avere una prosecuzione. E poi sì, nella mia testa ci sono anche tante altre idee, compresa un’altra raccolta di racconti brevi, ma il mio problema è e rimane sempre il tempo, troppo scarso per coltivare questo mio intento come vorrei. Ma spero comunque che qualcuno di questi progetti possa trovare comunque la sua strada, nel futuro. E magari mi auguro di poter tornare qui a condividerle con voi.
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