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17 settembre 2019

SEGNALAZIONE + INTERVISTA - E lo chiamano amore di Annamaria Vargiù | Porto Seguro

Annamaria Vargiù ci presenta sapientemente la faccia più spietata di un sentimento crudele che usurpa il nome di amore. E che spesso costringe al silenzio le stesse vittime.

GENERE: Racconti, narrativa
PREZZO: cart. 12,90 €
PAGINE: 136

SINOSSI
Quelli di “E lo chiamano amore” sono amori fatti di sopraffazione e violenza, sia fisica che psicologica. Sono
turpi, dolci illusioni che si trasformano in incubi. E sono oscuri. Amori che si presentano affascinanti e seducenti e finiscono poi per aggrapparsi alla vittima e succhiarne la linfa vitale.





Anna Maria Vargiù è nata e vive a Napoli, dove insegna Lingua e Letteratura Francese in un liceo.
Esperta di linguaggio cinetelevisivo e autrice di molteplici lavori per il teatro, dopo le riuscite irruzioni sui territori del racconto breve, con la pubblicazione dei suoi testi in numerose antologie e la sua raccolta “Il colore delle storie”, l’autrice ha compiuto il passo in direzione del romanzo, pubblicando “Oltre l’orizzonte” nel 2011. Con Porto Seguro Editore ha pubblicato “Il poeta e il pendolo”.


Benvenuto Annamaria! Quando hai scoperto la passione per la scrittura?
Salve e grazie per avermi invitata.
La passione per la scrittura, come sempre accompagnata da quella per la lettura, è nata molto presto, già da bambina inventavo e scrivevo storie fantastiche. Ho cominciato a scrivere i primi racconti nell’adolescenza, poi da docente ho scritto testi teatrali e sceneggiature di cortometraggi per i miei alunni. Ho cominciato a scrivere con l’idea di pubblicare relativamente tardi, dopo i quarant’anni.

Qual è stato il tuo primo testo?
Se ti riferisci al primo testo pubblicato, è stata una raccolta di racconti uniti da una storia cornice Il colore delle storie

Quale genere letterario ti è più affine? Quale invece non riesci a leggere e/o a scrivere?
Da scrittrice sono due i generi che mi sono più congeniali, il racconto breve e il romanzo, entrambi di carattere sociale e di formazione. Non ho un genere in particolare che non riesco a leggere, sono quella che si definisce una lettrice “onnivora”, non riesco a leggere i libri scritti male.

Come è stato il tuo percorso verso la pubblicazione?
Un po’ come tutti coloro che non sono addentro al meccanismo, ingenuamente mi aspettavo che anche le grandi case editrici ricevessero i manoscritti, ma la maggior parte delle “major “non accetta “manoscritti non richiesti”, per cui mi sono rivolta alle piccole case editrici free che purtroppo non ti assicurano né visibilità né opportuna distribuzione. Anche se con l’ultima con cui ho pubblicato sia Il poeta e il pendolo che E lo chiamano amore devo dire le cose sono andate molto meglio. Comunque potrei scrivere un altro libro sui vari personaggi che abbondano nel variegato mondo dell’editoria

Come è nata l’idea di E lo chiamano amore? Cosa ti ha ispirato?
L’idea è nata dopo una lunga riflessione su come, a volte, viene concepito il sentimento d’amore, non soltanto quello di coppia ma anche quello materno, filiale, tra sorelle. Spesso si chiama amore un sentimento che amore non è, e si agisce di conseguenza in modo completamente sbagliato. La cronaca ci presenta, purtroppo troppo spesso, le spietate facce di un sentimento crudele che usurpa il nome di Amore che spesso annienta le sue vittime, relegate nell'isolamento, nella disperazione e al silenzio.

Quanto c’è di te in questo testo?
Se parli di autobiografico non c’è niente. Di mio c’è il desiderio di mostrare le varie facce della sopraffazione mascherata da amore. Dal punto di vista della scrittura è tutto mio. Nessun editor è intervenuto su quello che ho scritto, per cui, nel bene e nel male, ogni parola, ogni virgola, ogni struttura narrativa mi appartiene al cento per cento.


Hai mai affrontato il “blocco dello scrittore”? Come lo hai superato?
Non ho mai avuto un vero e proprio blocco dello scrittore, le mie storie, una volta che le ho concepite sono tutte lì, pronte per essere scritte, purtroppo non ho la fortuna di poter vivere con il mio lavoro di scrittrice per cui passo lunghissimi periodi senza scrivere per mancanza di tempo.

Cosa vuoi comunicare con il tuo E lo chiamano amore?
Il mio, anche se è un libro che presenta diverse situazioni forti, è comunque un libro aperto alla speranza. I vari racconti hanno quasi tutti un finale positivo ma invitano a riflettere, a cogliere i segni di un sentimento distorto, a volte pericoloso. È anche un invito a non chiudersi in se stessi, a non isolarsi ma a saper chiedere aiuto. Voglio precisare, per eventuali lettori, che l’ultimo racconto della raccolta è completamente diverso dagli altri perché rappresenta una metafora del sentimento che ho voluto rappresentare, cioè un amore che si presenta dolce, affascinante, intrigante e che poi finisce per attaccarsi al suo oggetto del desiderio e a succhiarne la linfa vitale. È un libro scritto per le donne e gli uomini che amano e che si battono, affinché tutti possano accorgersi che a volte, dietro atteggiamenti e gesti che possiamo interpretare come attenzioni amorevoli si nasconde qualcosa di molto pericoloso.

Cosa pensi del Self-Publishing?
Penso che può essere un buon modo di pubblicare per evitare situazioni spiacevoli e cocenti delusioni, purtroppo però, anche se pubblichi un capolavoro col Self- Publishing nessuno ti considererà mai un vero scrittore.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Per il momento sto scrivendo un altro romanzo, spero di avere il tempo per poterlo completare e vederlo diventare un best seller. Anche se scherzo, in fondo in fondo ci spero.

Grazie a Annamaria Vargiù per averci dedicato il suo tempo. In bocca al lupo e buona scrittura!

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