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26 gennaio 2017

INTERVISTA - Nicola Ronchi e La strada della follia

Salve peccatori, oggi il blog ospita Nicola Ronchi.

Nicola Ronchi, è uno scrittore fiorentino. Ha esordito nel 2013 con “C’ERA UNA VOLTA LA STRAFAMIGLIA” (Pagnini editore), divenuto in breve tempo un vero e proprio cult fra i ragazzi delle scuole elementari di Firenze. Con Porto Seguro Editore ha pubblicato i thriller psicologici “L’AMICA”, “IL SEGRETO DI ELENA”, “IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE” e “LA STRADA DELLA FOLLIA”. Alcuni suoi racconti compaiono nelle antologie “VISTA DA NOI” e “PEZZO SU PEZZO”. Dal 2016 fa parte del Gruppo Scrittori Firenze. Altre info: www.nicolaronchi.com

Benvenuto su Peccati di Penna, Nicola Ronchi! Quando hai scoperto la passione per la scrittura?
Grazie. Diciamo che ho iniziato a scrivere a sedici anni, ma ancora non sapevo che sarebbe diventata una vera e propria passione.
Suonavo la chitarra, era l'estate del 1987. Compagnia gradevole e nottate in spiaggia. Gli altri si sedevano accanto a me, sdraio e lettini sparsi in una decina di metri quadri, qualche bottiglia di birra e una gran voglia di cantare e di stare bene. Attaccavo con la prima canzone e tutti intonavano il ritornello. Via con la seconda e via tutti in coro. Poi…
Uno a uno – o forse è meglio dire "due a due", visto che si trattava di coppie – sparivano dalla mia visuale per appartarsi più lontano. Dalla ventina di ragazzi presenti, alla fine, rimanevo soltanto io, lo sfigato di turno. "Ci potrei scrivere una canzone" pensavo. E l'ho fatto davvero. Ecco perché i miei primi brani erano tristi e deprimenti! Ma lo prendevo come un gioco, come una piccola soddisfazione personale che sapeva di rivalsa verso i più fortunati di me: loro avevano le ragazze? Io le mie canzoni. In ogni caso rimanevo sfigato.
Alla fine ne ho scritte una decina, poi ho continuato a suonare fino a vent'anni insieme a un amico, girando per i locali di Firenze. Ma niente più composizioni, soltanto cover. Ho ripreso a scrivere solo dopo i trent'anni, quando mi era presa la fissa per la regia… Ma questa è un'altra storia.

Quale genere letterario ti è più affine? Quale invece non riesci a leggere e/o a scrivere?
Sono cresciuto a pane e Dario Argento, quindi… A parte tutto, amo ogni genere letterario, non solo il thriller. Ma preferisco di gran lunga il contemporaneo al classico che, in riferimento alla tua seconda domanda, non riesco proprio a leggere! Mi piace la scrittura semplice, incalzante e che abbia ritmo narrativo; adoro quegli autori che con poche parole arrivano a spaventarti, a farti piangere, ridere, arrabbiare, riflettere. In pratica: creano empatia con i personaggi. Bando totale, invece, ai troppo prolissi e a chi usa paroloni e frasi che soltanto i pochi eletti della Crusca riescono a decifrare. Ok, va bene, sei colto, hai studiato, il tuo bagaglio culturale è sotto gli occhi di tutti, ma… non ti si può proprio leggere!

Come è stato il tuo percorso verso la pubblicazione?
Avevo scritto dei racconti per mia figlia, stufa di ascoltare sempre le solite favole.
Ogni sera chiedeva una storia, mi aiutava a inventare i personaggi e a metterli nelle situazioni più difficili. Io lo facevo perché si addormentasse prima, ma non era proprio la tecnica giusta! Alla fine è venuta fuori una famiglia un po' strana, eterogenea, buffa e simpatica. Per caratterizzare i protagonisti prendevamo spunto da altre storie, cartoni animati, telefilm, fumetti. L'ho chiamata "La Strafamiglia".
Fatto sta che mi sono stampato questo libretto e l'ho dato alla maestra di mia figlia, lei l'ha passato a un'altra maestra, l'altra maestra a una collega e via via il giro si è allargato. Hanno iniziato a chiamarmi dalle scuole elementari per incontri con i bambini. Fino a che una casa editrice se n'è accorta… Nello stesso anno, era il 2013, avevo scritto anche un romanzo thriller - la vena era comunque quella… – e l'avevo mandato a un editore fiorentino, che mi ha pubblicato! Diciamo che è stata una fortunata coincidenza.

Come è nata l’idea di La strada della follia? Cosa ti ha ispirato?
Premetto che questo è il mio quarto romanzo di genere: qualcosa nel frattempo ho scritto… Ci ho comunque lavorato due anni. L'idea è nata ricordandomi di un film che avevo visto al cinema diversi anni prima, non cito il titolo altrimenti svelo il finale. Fatto sta che mi aveva colpito parecchio. Il genere era più sul drammatico, con qualche sfumatura mistery, ma i presupposti per farne un thriller psicologico c'erano tutti! E qui la mia solita vena ha ripreso a pulsare… Ho stravolto la storia, i personaggi, l'intreccio basandomi soprattutto sulle condizioni emotive del protagonista. Ma con la stessa idea finale del film.
Una tragedia lontana nel tempo. E l’incubo che ricompare trent’anni dopo... Roberto Ventura è un quarantacinquenne introverso che si ritrova di colpo senza una donna, senza un lavoro, senza prospettive. Ad alimentare la crescente depressione ci si mettono anche due figure misteriose, una ragazza e un bambino che compaiono spesso davanti ai suoi occhi. Realtà o immaginazione? Sembra riprendersi dall’angoscia solo quando, durante una passeggiata al parco, incontra un amico d’infanzia e, coincidenza incredibile, anche un secondo. Due tipi molto diversi fra loro, ma che danno a Roberto un’ottimistica spinta emotiva. Sembra l’inizio di una nuova vita, ma si tratta soltanto di un incubo ancora più terribile...
Quanto c’è di te in questo testo?
In questo romanzo, come del resto negli altri, c'è sempre qualcosa di me. In fondo, ogni autore scrive ciò che conosce, che vive, che incontra tutti i giorni, oltre a una ricerca specifica per descrivere i dettagli più sconosciuti. Io preferisco mettere il mio carattere, o almeno una parte del mio carattere, nei protagonisti. Ecco quindi che troveremo spesso uomini o donne semplici, ottimisti, che prendono la vita con leggerezza. Che non significa affatto superficialità.

Hai mai affrontato il “blocco dello scrittore”? Come lo hai superato?
Devo essere sincero: non l'ho mai affrontato. Scrivo ormai ininterrottamente da diversi anni, tutti i giorni, festivi compresi. Oddio, qualche volta salto, ma di rado. Che sia un'idea, un mini racconto, una scena futura, oppure la lista della spesa, io scrivo. Poi, nei momenti di calma, elaboro tutto e progetto. Sì, la mia tecnica sta nella progettazione. Prima di iniziare la storia vera e propria ho già pronto lo schema da seguire. Un po' come costruire una casa: non si può chiamare subito il muratore per fargli mettere il primo mattone su un terreno. Poi? Che succede? Ci vuole un progetto, un disegno, uno schema dei lavori, la scelta dei materiali, dei colori, degli impianti. Solo dopo tutto questo puoi chiamare la ditta che inizierà i lavori. Ecco, per me la stesura di un romanzo è come costruire una casa. Credo che seguendo un certo iter si possa anche superare il famoso – o famigerato? – "blocco dello scrittore", perché un muratore, appena inizia a scavare la buca per le fondamenta, sa già come deve procedere per finire la casa.

Cosa vuoi comunicare con il tuo La strada della follia?
Comunicare? Nessun messaggio morale, ci mancherebbe. Ogni mio romanzo dev'essere letto per quello che è: un romanzo appunto. Scrivo narrativa, scrivo storie che possano in qualche modo far divertire il lettore e, come ho già detto riferendomi ad altri autori, creare empatia. Diciamo che il mio scopo è quello che definisco "effetto nooo!". Sì, con almeno tre "o". Quando il lettore arriva al climax, alla sorpresa che sconvolge tutta la trama, e scopre la verità dicendo ad alta voce: «Nooo!» ho fatto centro. Questo è ciò che vorrei: un grande "effetto nooo!". Spero che nella Strada della follia, come negli altri, possa aver raggiunto l'obiettivo.

Cosa pensi del Self-Publishing?
In verità non ho detto tutta la… verità!
Il mio primo approccio con la carta stampata risale al 2010. Avevo pensato a una storia d'amore impossibile e ironica. I personaggi erano un ragazzo gay e una ragazza fidanzata da tempo. Persone semplici, ottimiste, sempre sorridenti ovviamente. L'avevo intitolato: "Io Federico, io Debora". Lo stile era in forma di diario, la stessa situazione vista prima da lui e poi da lei. Per questo romanzo avevo deciso di affidarmi al self-Publishing, iscrivendomi a un portale famoso. Grazie all'aiuto di un amico, sono stato anche a presentarlo in TV! Certo, l'autopubblicazione ha i suoi pregi e i suoi difetti. Come primo approccio può andar bene: ti fai esperienza, vedi come stanno o le cose, valuti le conseguenze. Ma alla base di tutto c'è la passione e la volontà, ma soprattutto il desiderio di provarci a tutti i costi, anche a livello economico. Se sei bravo a promuoverti, a farti conoscere, a pubblicizzarti con il pubblico, a ossessionarlo addirittura, allora hai buone speranze di successo. Almeno da come la vedo io. Conosco autori che ci hanno saputo fare partendo da perfetti sconosciuti e che sono arrivati a pubblicare con grandi case editrici. Al contrario, altri si sono persi nel mare magnum degli invisibili.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Da dove comincio? Progetti ne ho davvero tanti. Ho già pronto un nuovo romanzo, che tra l'altro è stato finalista al prestigioso concorso "IoScrittore", promosso dal gruppo Mauri Spagnol. Non ho vinto, ma credo che sia davvero un ottimo thriller psicologico. Sto comunque scrivendo un altro romanzo incentrato sul tema dello stalking. Per quanto riguarda i racconti, sto partecipando a vari concorsi: in un paio di questi sono stato anche premiato. E poi c'è dell'altro. Dopo la terza pubblicazione con Porto Seguro Editore, mi hanno chiesto di entrare come socio. Un onore per me. Adesso curo i nuovi autori, li seguo nella stesura finale del loro libro, correggo le bozze, impagino, creo le copertine, organizzo presentazioni. Oltre ovviamente a conciliare tutto con il mio vero lavoro, con la famiglia, con le altre passioni, in primis il calcio, sia giocato che tifato! Ebbene sì, ogni domenica (ma adesso si gioca anche di sabato, di venerdì e persino di lunedì) faccio presenza fissa in curva. È così da oltre vent'anni. Ah, per non farmi mancare nulla frequento un paio di laboratori di scrittura l'anno, giusto per non perdere il vizio e confrontarmi con gli altri nello stile, sempre migliorabile. Insomma: non mi fermo mai e cerco di imparare sempre di più. Basta? Forse… o forse no.

Grazie a Nicola Ronchi per il suo tempo. In bocca al lupo e buona scrittura!

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