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20 luglio 2016

INTERVISTA - Rita Carla Francesca Monticelli e Sindrome

Alla scoperta di un'altra autrice: Rita Carla Francesca Monticelli.

Nata a Carbonia nel 1974, Rita Carla Francesca Monticelli vive a Cagliari dal 1993, dove lavora come scrittrice, oltre che traduttrice letteraria e scientifica. Laureata in Scienze Biologiche nel 1998, in passato ha ricoperto il ruolo di ricercatrice, tutor e assistente della docente di Ecologia presso il Dipartimento di Biologia Animale ed Ecologia dell’Università degli Studi di Cagliari. Dal 2009 si occupa di narrativa. Tra il 2012 e il 2013 ha pubblicato la serie di fantascienza “Deserto rosso” ambientata su Marte. La raccolta dei quattro volumi è stata un bestseller Amazon in Italia, raggiungendo la posizione n. 1 nel Kindle Store nel novembre 2014. Nello stesso anno è stata indicata da Wired Magazine come una dei dieci migliori autori indipendenti italiani e ciò le è valso la partecipazione come relatrice al XXVII Salone Internazionale del Libro di Torino e alla Frankfurter Buchmesse 2014. Sempre nel 2014 ha pubblicato il thriller “Il mentore” (bestseller internazionale nella sua edizione inglese, “The Mentor”, edita da AmazonCrossing nel 2015) e il romanzo di fantascienza “L’isola di Gaia”. Quest’ultimo è ambientato nella stessa linea temporale di “Deserto rosso” e insieme a esso, e ad altri romanzi futuri, tra cui “Ophir” in uscita il prossimo novembre, fa parte di un ciclo fantascientifico denominato Aurora. Nel 2015 ha inoltre pubblicato “Affinità d’intenti” (thriller) e “Per caso” (fantascienza). “Sindrome” è il suo decimo libro. Appassionata di fantascienza e soprattutto dell’universo di Star Wars, è conosciuta nel web italiano con il suo nickname Anakina e di tanto di tanto presta la sua voce e la sua penna al podcast e blog FantascientifiCast. È inoltre una rappresentante ufficiale italiana dell’associazione internazionale Mars Initiative e un membro dell’International Thriller Writers Organization. Attualmente (anno accademico 2015-2016) è docente di un corso integrativo intitolato “Laboratorio di self-publishing nei sistemi multimediali” nell’ambito del corso di laurea in Scienze della Comunicazione presso l’Università degli Studi dell’Insubria (Varese).


Benvenuta su Peccati di Penna Rita Carla Francesca Monticelli! Quando hai scoperto la passione per la scrittura?
Fin da ragazzina mi è sempre piaciuto inventare storie e poi un giorno ho capito che scrivere era l’unico modo per renderle vere. È stato negli ultimi anni del liceo.

Qual è stato il tuo primo testo?
Il primissimo testo scritto è stata una sceneggiatura. Avevo 17 anni. Non ricordo il titolo, comunque parlava di una ragazza che dopo essere stata assassinata ritornava come fantasma per fare in modo che venisse scoperto il suo assassino. Con le mie amiche stavano cercando di girarne il film, che ovviamente non abbiamo mai terminato. :)
Parlando invece di narrativa, se escludiamo le fan fiction, il mio primo testo originale è stata la prima stesura de “L’isola di Gaia” (romanzo di fantascienza), iniziata nel 2009 e terminata nel 2011, che poi ho pubblicato nel 2014 (il mio settimo titolo pubblicato).

Quale genere letterario ti è più affine? Quale invece non riesci a leggere e/o a scrivere?
Scrivo romanzi di fantascienza e thriller e leggo un po’ di tutto. In particolare amo le storie dal finale non scontato, che riescano a stupirmi, in cui i personaggi non siano stereotipati e in cui io riesca a immedesimarmi. Ciò dipende più dallo stile dell’autore che dal genere della storia. E nello scrivere cerco di creare dei libri che mi piacerebbe leggere.
Gli unici generi che proprio non riesco a leggere sono il fantasy, specialmente quello classico, e tutto ciò che è young adult, poiché è molto lontano dal mio modo di sentire. Non è una questione anagrafica, visto che già da adolescente leggevo Patricia Cornwell! Di sicuro non riuscirei a scrivere questi generi né narrativa non di genere.

Come è stato il tuo percorso verso la pubblicazione?
Sono una self-publisher. Non ho mai cercato di essere pubblicata da un editore. Mentre scrivevo il mio primo romanzo (che poi ho pubblicato successivamente ad altri) mi sono messa un po’ a studiare il mercato editoriale italiano ed estero, e mi sono interessata all’autoeditoria. Ho deciso di imparare a essere un editore dei miei libri, in modo da poter avere il pieno controllo sulla mia attività editoriale. Ho iniziato a pubblicare i miei testi nel 2012, in particolare con la serie di fantascienza a puntate “Deserto rosso”, costituita da quattro libri scritti nell’arco di venti mesi, che mi hanno reso abbastanza popolare tra i lettori di questo genere. Nel 2014, invece, ho pubblicato il mio primo thriller, “Il mentore”. A oggi la mia produzione in italiano conta dieci titoli.

Come è nata l’idea di Sindrome? Cosa ti ha ispirato?
Si tratta del seguito de “Il mentore”, quindi è un crime thriller che riprende i personaggi visti nel primo. Ma il germe della storia, che poi ha determinato in parte la scelta del titolo, gira intorno a una malattia mentale denominata Sindrome di Münchausen per Procura, che colpisce in genere alcune madri. Queste fanno ammalare i propri figli, talvolta fino a ucciderli, per attirare su di sé la compassione di chi sta loro intorno. Ricordo di aver visto tanti anni fa un film su questa sindrome, e mi era rimasta impressa, poi di recente mi è capitato di vedere un documentario che ne parlava e ho pensato che l’argomento potesse essere utilizzato nel secondo libro della trilogia del detective Eric Shaw.
In questo libro, infatti, uno dei due casi seguiti dalla squadra diretta dal detective Shaw, nell’ambito della sezione scientifica della Polizia Metropolitana di Londra (Scotland Yard), riguarda proprio una donna sospettata di causare i peggioramenti del proprio bambino ricoverato in ospedale. Non è in realtà il centro della trama, ma è l’elemento da cui è partito il processo creativo.
Mentre indaga sull’omicidio di due pregiudicati collegati a un noto trafficante di droga londinese, resosi protagonista di una spettacolare evasione dal cellulare che lo stava riportando al penitenziario di Coldingley dopo un’udienza in tribunale, la squadra scientifica di Scotland Yard diretta dal detective Eric Shaw si ritrova coinvolta nel caso di un’infermiera che accusa una madre di essere responsabile di una serie di violenti episodi febbrili che hanno colpito suo figlio Jimmy, di soli dieci anni. Quest’ultima si accanirebbe sul proprio bambino, peggiorandone le condizioni di salute, per attirare su di sé l’attenzione e la compassione del personale sanitario.
Eric ne viene a conoscenza casualmente, poiché la pediatra che ha in cura il piccolo paziente, Catherine Foulger, è una sua vecchia fiamma, che il detective ha ripreso a frequentare di recente nella speranza di rimettere ordine nella propria vita dopo aver scoperto l’identità del serial killer denominato ‘morte nera’.
Ma la sua ex-compagna Adele Pennington, criminologa del Laboratorio di Scienze Forensi, non ha affatto accettato di buon grado questa nuova relazione.

Quanto c’è di te in questo testo?
Be’, credo che scrivere dei romanzi sia un modo di mettersi a nudo, raccogliendo insieme i propri pensieri, le proprie curiosità, ma anche le proprie paure. Raccontare di crimini violenti e umanizzare fino a giustificare dei personaggi che non esitano a uccidere è anche un modo per demonizzare questi temi.
A parte ciò, non posso dire che ci sia un personaggio che mi assomigli. Per fortuna! Piccole parti di me e di altre persone che hanno incrociato la mia vita trovano posto in essi per dare l’illusione che siano reali. E il bello è che, almeno per me, lo sono eccome. La mia speranza è riuscire a dare questa stessa sensazione anche al lettore.

Hai mai affrontato il “blocco dello scrittore”? Come lo hai superato?
Direi di no, be’, dipende anche da cosa si intende per “blocco dello scrittore”. Se si parla del non sapere cosa scrivere, la risposta è sicuramente no. Non inizio neppure a scrivere un libro se non so dove sto andando. Il finale di un libro è la prima cosa che invento, seguita da alcuni punti salienti della trama. Quindi la direzione la conosco e prima di cimentarmi in una prima stesura mi preparo un’outline di massima che mi aiuta a non dovermi mai chiedere: “E adesso che succede?”
Piuttosto mi è capitato di non aver voglia di scrivere, di lottare contro il desiderio di procrastinare, perché magari avevo la percezione che la mia scrittura fosse arida, non fluisse liberamente. Mi è successo anche di recente nel mio attuale work in progress, di cui ho terminato la prima stesura appena una settimana fa. Quando ho questa sensazione, scrivere diventa una fatica immensa, ma so anche che rimandare non risolverà il problema. Io faccio dei programmi precisi per le mie pubblicazioni e devo rispettarli, entro una certa data devo aver terminato la prima stesura di un libro, in un modo o nell’altro, perciò, quando mi sono sentita bloccata, mi sono seduta davanti al PC e ho scritto lo stesso quello che sapevo di dover scrivere, anche se pensavo che non avesse molto senso o che facesse schifo. E poi, invece, rileggendo le scene scritte in quei giorni particolari, talvolta mi sono resa conto, con mio grande stupore, di aver prodotto le mie pagine migliori.

Cosa vuoi comunicare con il tuo Sindrome?
“Sindrome” come tutti i miei libri esplora il concetto di soggettività della percezione del bene e del male. Mi piace raccontare di personaggi che vivono in quella zona grigia tra ciò che giusto e ciò che è sbagliato. Non sono eroi né cattivi al 100%, come capita alle persone normali. Ognuno di noi pensa le cose peggiori e migliori, ha delle opinioni controverse che se venissero trasformate in azioni potrebbero essere addirittura dei crimini. La differenza sta proprio qui, tra ciò che sta nella mente e ciò che si trasforma in realtà. Un confine che in certi casi è meno chiaro di quello che si pensi e l’incapacità di comprenderlo è la causa di tante azioni sbagliate, dalle meno gravi alle più efferate.
Mi piace esplorare questa zona di confine attraverso degli antieroi, che sono interessanti proprio perché ognuno di noi riesce più facilmente a immedesimarsi in essi. Magari non compirebbe le loro stesse azioni, ma si tratta pur sempre di finzione, non di realtà. :)

Cosa pensi del Self-Publishing?
Il self-publishing è un mestiere impegnativo, poiché richiede che l’autore impari a diventare editore. Richiede disciplina, pazienza, voglia di acquisire nuove competenze, intraprendenza. È un’attività imprenditoriale a tutti gli effetti che rende l’autore protagonista all’interno del mercato editoriale, artefice del proprio successo come pure del proprio fallimento. Chi possiede le giuste qualità (o vuole acquisirle), cui è necessario aggiungere una certa dose di fortuna (quella ci vuole sempre), credo che abbia tutte le carte in regola per fare della buona editoria al pari se non in maniera superiore rispetto all’editoria tradizionale, soprattutto nell’ambito del digitale.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Ho appena terminato al prima stesura di “Ophir”, che è un romanzo di fantascienza incluso nel ciclo dell’Aurora, di cui fa parte anche “Deserto rosso” (www.desertorosso.net). Nei prossimi mesi mi dedicherò all’editing, mentre la sua uscita è prevista per il 30 novembre 2016.
Invece, a partire sempre da novembre, inizierò a scrivere l’ultimo romanzo della trilogia del detective Eric Shaw, “Oltre il limite”, che dovrei pubblicare il 21 maggio 2017.
Poi si vedrà. Ho diverse idee che mi frullano in testa, ma non ho ancora deciso dove indirizzarmi per i romanzi successivi. :)

Grazie a Rita Carla Francesca Monticelli per averci dedicato il suo tempo. In bocca al lupo e buona scrittura!

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