“Mentre nelle miniere i superstiti celebravano la vittoria con un amaro banchetto, sulla piana la notte calava veloce e i mangiatori di cadaveri reclamavano il loro tributo. Ma non tutto era morto laggiù: semisepolto dalla carcassa del suo pony da battaglia, Lorin di Fakerstone grugniva e sbuffava nello sforzo di liberarsi.”
Cosa accadrebbe se l’unico sopravvissuto della propria stirpe ricevesse una lettera che lo proclama Ultimo Eroe? Senza più danaro né amici, Lorin di Fakerstone, l’ultimo dei Nani Cornuti, baratterà il suo onore pur di intraprendere il viaggio che lo porterà fino alla Città Imperiale di Okkervill, dove potrà reclamare ciò che gli spetta di diritto.
Un racconto ironico e pungente che parte dal fantasy più epico per poi stravolgerlo, trasformandosi in una favola ricca di riflessioni morali.
In cui si apprende che non sempre chi vince una battaglia torna
alla sua dimora in trionfo
Due mesi di assedio non erano bastati ai nani per porre fine alla
resistenza delle Creature della Notte e riconquistare la miniera
usurpata, e un clima di scoraggiata attesa si era impadronito dei
soldati nel campo. Nonostante ciò, i comandanti dei nani si erano
sempre mostrati fiduciosi che gli assediati, senza più rifornimenti,
fossero a un passo dal capitolare per non morire di stenti e
malattie.
Purtroppo per loro, e a causa delle scarse conoscenze
astronomiche che possedevano, non avevano previsto un’eclissi
di sole che fu interpretata dalle Creature della Notte come un
presagio favorevole al tentativo di rompere le linee degli
assedianti con un attacco frontale.
La mattina del sessantaseiesimo giorno di assedio, sotto un
sole mai sorto, migliaia di immonde creature, rese folli per la
fame, sciamarono dal cancello principale della miniera come
bestiali locuste su un campo di grano, dilaniando ogni essere che
trovarono sul loro cammino. I nani, colti di sorpresa, vacillarono,
si piegarono, giunsero quasi alla disfatta; ma il loro animo era
fiero e il braccio che reggeva la scure saldo. Alla fine della
giornata la battaglia fu vinta e, con essa, la guerra. A quale
prezzo, però.
La piana antistante le miniere di Darken Lohe era diventata
una desolazione di cadaveri, fiamme e carcasse di animali. Gli
avvoltoi volteggiavano tra le volute di fumo, preparandosi a un
lauto pasto, mentre i lamenti dei moribondi si spegnevano uno
dopo l'altro nel sole calante. Fra i nani, il numero dei caduti
superava quello dei vivi di due a uno, molti erano i mutilati e i
feriti gravi, ma quello che più contava era che la miniera era stata
riconquistata e le creature della notte sterminate o ricacciate nella
putrida fossa di tenebra da dove provenivano.
Mentre nelle miniere i superstiti celebravano la vittoria con un
amaro banchetto, sulla piana la notte calava veloce e i mangiatori
di cadaveri reclamavano il loro tributo. Ma non tutto era morto
laggiù: semisepolto dalla carcassa del suo pony da battaglia, Lorin
di Fakerstone grugniva e sbuffava nello sforzo di liberarsi.
«Maledetta bestia, eri grasso da vivo e da morto sembri ancora
più pesante» disse e, con l'ultimo brandello di forza rimastogli,
riuscì a sollevare il cavallo quel tanto che bastava per sgusciare
fuori.
«Stupido animale,» bofonchiò quando riuscì a mettersi in piedi
«non sei buono nemmeno per gli avvoltoi.» E sferrò due calci al
ventre della bestia morta, facendo schizzare sangue nero dalle
ferite aperte.
Si guardò intorno, alla ricerca della sua ascia, che era ancora
conficcata nel cranio del goblin che aveva ucciso il suo pony. Si
avvicinò zoppicando e grugnendo di dolore e la svelse dalla testa
della creatura, urlando: «Essere ributtante, mi fai così schifo che
non prenderò nemmeno la tua testa come trofeo!» E sputò sulla
terra intrisa di sangue.
Conficcò la scure nel terreno e si appoggiò al manico,
sussurrando maledizioni all'indirizzo dei goblin e massaggiandosi
la fronte dolorante.
«Perfetto, mi si è pure rotto un corno» disse, tastando il
moncherino frastagliato che gli spuntava dal lato destro della
fronte. «E chi lo sente adesso il vecchio? A proposito, dove sono
finiti tutti gli altri?» Per la prima volta, il suo sguardo contemplò
l'immane devastazione che si estendeva su tutta la pianura, fino a
dove arrivava la vista. Gli occhi gli bruciarono per il fumo e lo
sconforto. Strinse le mani attorno alla sua fidata ascia, fino a
sentire l'acciaio mordergli i palmi callosi. La tristezza venne
soppiantata dalla rabbia e, infine, dalla rassegnazione. Lorin
chiuse gli occhi e amare lacrime gli rigarono il volto sporco di
sangue, cenere e terra; poi li riaprì, tenendoli fissi sulla sua arma.
Sospirò e disse al vento: «Pare che sia rimasto l'unico della mia
stirpe, ora tutta l'eredità del clan dei nani cornuti ricade su di
me.» Mise la scure in spalla e si girò in direzione opposta alle luci
che venivano dalla miniera.
Autore
Diego Tonini, nasce a Treviso quattro anni prima dei mondiali
dell'ottantadue, scienziato dei materiali, idealmente fotografo e aspirante
scrittore. Sin dal liceo scrive un sacco di “inizi”, racconti che promettevano
ma non hanno mai mai mantenuto, storie mai concluse. Poi ha cominciato a
spostarsi per lavoro: Padova, Milano, Trento... di nuovo Treviso. E lo scrivere
lo ha accompagnato, come un punto fisso, una confusione ordinata nell'ordine
caotico della sua vita. Cerca di fermare quello che vede, su una pagina scritta
o con la macchina fotografica, cerca di dare il suo punto di vista originale a
cose apparentemente banali.
Scrive per immagini e per suoni, prima che sulla pagina le
sue storie sono scene e rumori nella sua mente, come se girasse un film senza
macchina da presa che poi prende forma in parole scritte.
Vorrebbe vivere di letteratura, ma per ora si accontenta di
avere la letteratura come compagna di vita.
Nessun commento:
Posta un commento
I vostri commenti sono la linfa vitale del blog, lasciate un segno ツ
Nessun commento:
Posta un commento
I vostri commenti sono la linfa vitale del blog, lasciate un segno ツ