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7 marzo 2019

BLOGTOUR - Il mistero di Virginia Hayley di Alessio Filisdeo | Estratti e colonna sonora | NPS

Salve peccatori, questa tappa è un tuffo ne Il mistero di Virginia Hayley di Alessio Filisdeo, tra estratti e colonne sonore...


Ma prima un po' di informazioni.


GENERE: Gotico
PREZZO: dgt. 2,99 € | cart. 14 €
PAGINE: 194

SINOSSI
Londra. Autunno 1892. 
Una serie di efferati delitti a sfondo rituale sconvolge la città e l’opinione pubblica. Un investigatore oppiomane, un’elegante dama straniera, un americano dai modi spicci e un vecchio cacciatore aristocratico si ritrovano a indagare sull’omicidio della giovane Virginia Hayley, che Scotland Yard cerca pervicacemente di nascondere. In una corsa contro il tempo, tra bassifondi degradati, sontuose sale da ballo e magioni infestate da antiche presenze, i quattro riluttanti compagni si ritroveranno invischiati loro malgrado in un inquietante complotto interno all’Impero Britannico, cercando al contempo di scongiurare il Crepuscolo di Ra e l’avvento del caos.

***
Una cortina acre fluttuava alzandosi dalle pipe, galleggiando mollemente nell’aria sino a infrangersi contro il soffitto sudicio. V’era puzzo di concupiscenza, decomposizione e chiodi di garofano, e nulla, neppure i pregiati tappeti persiani, o i sofà di satin, riuscivano a cancellare la prima impressione, quella di trovarsi in una cripta più che in una fumeria di Soho. L’umidità, favorita dalla mancanza di un qualsiasi sbocco sul mondo esterno, e dalla conseguente semioscurità, mitigata solo in parte da candele e lanterne cieche, soffocava savi e meno savi. Pure lì, a contatto col desolante panorama del vizio umano nella sua forma più autolesionista, la distinzione sociale mieteva le sue vittime. Vestiti di cenci, i miserabili correvano incontro alle illusioni dell’oppio sistemati dentro dei loculi, veri e propri anfratti scavati rozzamente lungo le pareti, trattati alla stregua di cadaveri. Al contrario, stesi comodamente dentro appariscenti boudoir cinti di arabeschi e stucchi scrostati, gentiluomini ben vestiti vagavano nel loro personale mondo dei sogni col sorriso sulle labbra, il capo mollemente abbandonato al petto di prosperose sgualdrine. Vecchi, giovani, agiati e meno agiati, belli e brutti, ospiti o schiavi, a seconda del caso. Quando Laura mise piede nell’ambiente costipato, la prima cosa che la colpì fu il silenzio, l’espressione vacua dipinta sui volti degli oppiomani: serena, ma pure pietrificata, immortalata nel suo momento di massima perdizione interiore.
Dal capitolo III


Un terribile silenzio calò sul cupo salone. Consumato il suo raccapricciante pasto, il figuro s’alzò compostamente dal tavolo raggiungendo un mobiletto, innescando qualcosa con una serie di cigolii meccanici. Prese posto su una sfarzosa poltrona dall’alto schienale e, contemporaneamente, un motivo solenne si levò dall’oscurità. Al signor Mallory, lì in attesa, perduto e timoroso, arrivò il cuore in gola prima che potesse rendersi conto di stare ascoltando il suono di un grammofono. La sontuosa musica riprodotta dall’avveniristico apparecchio difatti rispecchiava soltanto superficialmente l’esecuzione della stessa dal vivo, e anzi, echeggiava storpiata da quell’ammasso di valvole e ingranaggi, dando vita di tanto in tanto a un infelice raschiare, un lamento, quasi. «Perché siete ancora lì, signor Mallory? Qual è il vero motivo che vi ha spinto a questa visita notturna? A quale infausta sequela di fallimenti la vostra voce teme di dar fiato?»
Dal capitolo VI




Un vento ululante s’era alzato nel mentre del nostro viaggio. Fuori della carrozza, innanzi ai finestrini battuti da una finissima pioggerellina, tremende folate scuotevano il verde di Hyde Park che scorreva sotto i nostri occhi. Pareva, dominato da quel cielo tetro e fosco, che il parco fosse mutato in una foresta infestata, un’oscura selva popolata da ombre e spiriti. Mi trovavo in una storia dell’orrore, del grottesco, e me ne resi conto in quel preciso frangente. Passammo per Kensington Road, e poi imboccammo un largo viale fiancheggiato da ambo i lati da sfarzose dimore. Sul fondo, incassata, se non proprio incastrata tra queste, sorgeva l’abitazione di Sir Thomas Grayson. Essa si stendeva in larghezza, più che in lunghezza, e vista dal difuori non ispirava né eleganza né ricchezza. Al contrario, sembrava voler minacciare lo spettatore, inghiottire la sua presenza con la propria colossale mole fatta di solidi mattoni grigio fumo e stucchi gotici ai margini delle finestre del piano superiore. Ci avvicinammo al massiccio portone di quercia rossa senza un’idea ben precisa di chi o cosa vi avremo trovato, indecisi su quale leva adoperare per indurre la servitù ad ammetterci alla presenza del loro padrone. L’autorità dell’ispettore Wincott ci conferiva un certo vantaggio, ma gli uomini come Grayson, a Londra come in qualsiasi altro paese civilizzato della Terra, potevano concedersi il lusso, e lo facevano spesso, di ignorare la giustizia quando essa non si presentava in maniera adeguatamente… giusta.

Dal capitolo XVI

2 commenti:

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