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14 settembre 2015

INTERVISTA - Angelica Cremascoli e Il Re di Picche e la Regina di Cuori

Diamo il benvenuto ad Angelica Cremascoli, autrice emergente che ha pubblicato Il Re di Picche e la Regina di Cuori, con Triskell Edizioni.

Nata nel 1991, in provincia di Milano, ha scoperto sin da piccolissima quanto gli scaffali di una biblioteca avessero da regalare. Ci si nascondeva per nascere altre mille volte, a vivere altre mille vite, tra le pagine profumate di polvere che sfogliava, avida, rapita dall'idea che, un giorno, avrebbe potuto trovare il suo stesso nome scritto su una copertina.
In quella biblioteca, su quelle pagine, c'era una bimba che imparava a sognare.
Diplomata in lingue, attualmente frequenta l'ultimo anni della facoltà di Comunicazione Interculturale all'università Bicocca di Milano. Tra i suoi progetti rientra una specializzazione in Teorie e tecniche della comunicazione, in Italia o a Londra, dove il suo cuore ha trovato asilo. è, infatti, appassionata di storia inglese, in particolare di tutto ciò che riguarda l'epoca Tudor e la Golden Age Elisabettiana, grazie a scrittrici quali Alison Weir, Philippa Gregory e Carolly Erickson.
Finito il liceo, ha sentito anche la necessità di continuare con lo studio della filosofia, anche se da autodidatta, che le ha permesso di conoscere l'ineguagliabile genio di Nietzsche e gli irresistibili pensieri di Spinoza e Schopenhauer.
C'è chi la considera eccessivamente nerd, ma lei tende a definirsi soltanto piuttosto curiosa.
Alla domanda "cosa vuoi fare da grande?" ha sempre risposto "libri". Scoprirli, leggerli, scriverli. Come se fosse la cosa più scontata del mondo. Come se, in realtà, non avesse alternative. E, adesso che grande lo è diventata, ha esaurito le scuse per non provarci davvero



Ciao Angelica, domanda per rompere il ghiaccio, quando hai scoperto la passione per la scrittura?

Inventavo storie perché ne leggevo, era normalità, abitudine. E più leggevo, più avevo bisogno di dar modo alla mia fantasia, nutrita costantemente dai libri, di trovare uno sfogo. Perciò dico sempre: sono due passioni che si sono sviluppare insieme, nel corso degli anni, e che hanno richiesto e richiedono la reciproca presenza. Lavorano in squadra, per dirla in parole povere. Leggere, prima o poi, crea quella sorta di Sindrome dell’ “Adesso tocca a me”, a inventare, a creare, a proporre, ad essere genitore d’un figlio di carta e parole; si smette di prendere soltanto, di attingere impunemente dal mondo della finzione, e ci si trova a voler dare, a voler restituire e, com’è naturale che sia, a voler comprendere, oltre che usare, la magia che si trova dietro una copertina.

Qual è stato il tuo primo testo?

Un tentativo di romanzo che ricordo incentrato su uno scambio di persona, a dodici anni circa. Se non contiamo copioni per recite e racconti “brevi”, non sono famosa per la mia concisione purtroppo, risalenti al periodo delle scuole elementari.

Quale genere letterario ti è più affine? Quale invece non riesci a leggere e/o a scrivere?

Come lettrice, preferisco indubbiamente il romanzo storico in ogni sua sfumatura, e non c’è bisogno d’aggiungere che, come scrittrice, è un’ambizione, un traguardo, un obiettivo, che punto, con lavoro, dedizione ed esperienza, a raggiungere. Proprio perché è un genere che tanto amo e idealizzo, non voglio affrontarlo sguarnita del giusto bagaglio, sia professionale sia umano. Meglio dar tempo al tempo. Ho iniziato la mia avventura, per caso, con un romance contemporaneo che è stato un piacere, un onore e un divertimento assoluto scrivere, farcito con un po’ d’erotismo e filosofia. Perché, in fondo, le donne sono creature di carne e testa, con un corpo che sente, accoglie, ama, e un pensiero che scandisce parole e rintocca sentimenti, e perché per una giovane donna è normale scrivere di quel che è e sarà, cercando di capirlo e di lasciarsi capire.
Per quanto riguarda ciò che non riesco a leggere e/o a scrivere, devo ammettere che, come lettrice, non ho particolare interesse per le storie troppo banali e scontate, senza alcuna distinzione di genere. Come scrittrice, adesso, non mi cimenterei nell’LGBT, non per questione di perbenismo e omofobia, assolutamente, quanto per il fatto che, non riuscendo a immedesimarmi in una storia d’amore slash, fallirei nell’offrire la miglior esperienza narrativa di cui sono capace. Ragione per la quale apprezzo e stimo chi se ne occupa e ne sa ottenere comunque ragguardevoli risultati.

Come è stato il tuo percorso verso la pubblicazione?

Lungo ed emozionante, oltre che carico d’aspettative e di paure. In primis, ribadiamo un concetto: se aspiri alla pubblicazione con casa editrice, rassegnati alle attese. Non si può pretendere che non ve ne siano e non si può pretendere che una valutazione accurata ed onesta avvenga in uno schiocco di dita. Quindi, nel momento in cui si cominciano ad inoltrare mail su mail, a contattare CE su CE, a diramare il manoscritto, si preparino pure scorte massicce di camomilla e pazienza. Noi il nostro lavoro lo abbiamo fatto e ci siamo presi tutto il tempo, ora tocchi agli altri fare il loro.
Ma, così come aspettare, anche il non aspettare è una scelta, e, grazie alla libertà tecnologica, oggigiorno si può scegliere. Il self-publishing cura ogni urgenza, per esempio.
Quindi diciamo che non c’è nulla di strano e speciale, se non per me, nel mio percorso di pubblicazione: ho mandato parecchie mail e aspettato parecchi giorni. Una casa editrice (Triskell Edizioni), con mia somma gioia, ha deciso di pubblicarmi, da lì il contratto e i lavori di editing, fino all’uscita del primo libro. Mi piace sempre, però, ricordare che non avrei mai intrapreso tale strada senza i preziosi incoraggiamenti d’altrettanto preziose persone, incontrate e adottate nel corso della stesura a capitoli de “Il re di Picche e la Regina di Cuori” e nel corso degli anni impiegati per completarla. Anche a loro va il mio più affettuoso ringraziamento, com’è giusto che sia.

Come è nata l’idea di Il Re di Picche e la Regina di Cuori? Cosa ti ha ispirato?

Ho molti interessi e molte passioni a cui mi concedo di dedicare tempo ed energie, tra cui la musica e la danza. Non le pratico in prima persona, purtroppo, ma seguo con piacere ed entusiasmo coloro che fanno parte di questo mondo, cantanti, musicisti, band, ballerini, etc. Per indole, quindi, sono una fan, ed è da fan che ho cominciato a raccontare questa storia, attingendo da quel che guardo e ascolto quotidianamente, da ciò di cui mi piace circondarmi, che mi emoziona come una bambina e che, inevitabilmente, m’ispira. Da un paio d’anni, con aggiornamento periodico, stavo scrivendo una storia per delle mie carissime amiche, una storia d’amore poco tradizionale, se vogliamo, incentrata sull’ironia, sull’indagine psicologica e su personaggi un po’ particolari, appartenenti al mondo patinato ed elitario dello showbiz. Senza pensarci molto e seguendo gli input che loro stesse mi lanciavano. Ad un certo punto, mi sono resa conto che la mole di capitoli completati era diventata davvero notevole, e che, unendoli, avrei potuto benissimo farne un romanzo. Durante una notte insonne, ho pensato di sperimentare e assecondare l’idea. Ho messo insieme tutto il materiale che avevo prodotto, l’ho sistemato con maggior cura ed è nato “Il Re di Picche e la Regina di Cuori”.

Quanto c’è di te in questo testo?

Ci sono i miei vent’anni. Le convinzioni, le ansie, le immaturità, le innocenze, i sogni, gli incubi, le aspirazioni, le soggezioni, le testardaggini che si portano sulle dita e si attaccano alle parole a quella che era la mia età quando ho cominciato a scriverlo. In ogni personaggio, consapevole o inconsapevole, volente o dolente, ho lasciato una piccola traccia, un piccolo segno distintivo che riporta a me. C’è l’inizio, il complesso embrione di una donna, forse, e della scrittrice che vorrei diventare.

Hai mai affrontato il “blocco dello scrittore”? Come lo hai superato?

Puntualmente all’inizio, a metà e alla fine di ogni capitolo. Parafrasando, sempre. Fa parte del gioco, soprattutto se si è puntigliosi e perfezionisti. Nel mio caso specifico, che il blocco sia lungo o breve, serio o meno serio, la ricetta che ho studiato è la stessa: ostile testardaggine. Ovvero, mi rifiuto di adagiarmi sugli allori della confusione e del silenzio, obbligandomi a scrivere anche solo una parola, finché il resto non riprende a fluire. Mi spaventa l’idea di fermarmi ad aspettare, mi sembra una reazione troppo passiva, mansueta e rassegnata. Creare, delle volte, ha bisogno di combattimento, tra idee, tra insicurezze, tra parole, tra vuoti bianchi e minacciosi. Ma questo è decisamente soggettivo.

Cosa vuoi comunicare con il tuo Il Re di Picche e la Regina di Cuori?

Non credo importi cosa voglia o abbia voluto comunicare io, Angelica. Credo che importi cosa il romanzo, nell’effettivo, comunichi ad ogni singolo lettore. È questo il bello. Forse, una storia può nascere con una sola e personale intenzione, poi da tua passa con l’essere la storia di molti, e questi molti sono unici, diversi, e le intenzioni percepite diventano molte, uniche, diverse. Forse, saranno proprio i lettori, alla fine, a spiegare un libro a chi lo ha scritto, prendendone ciò che vogliono e ricordandone ciò che serve.

Cosa pensi del Self-Publishing?

Penso che, come ogni cosa del resto, abbia dei pro e dei contro. Non sono una di quelle autrici sotto CE che deride, snobba e disdegna chi si autopubblica, né sono una self-publisher che deride, snobba e disdegna chi ancora, a suo dire ingenuamente, si affida agli editor. Mi piace poter usufruire di tutte le scelte a mia disposizione, senza incorrere in pregiudizi né dall’una né dall’altra parte.
L’aspetto positivo del self-publishing è che abbatte i muri tra il mondo editoriale, in genere chiuso e selettivo, e chi ne vorrebbe fruire. Un aspirante autore può pubblicare ed emergere, curando da sé tutte le fasi del processo, per arrivare ad offrire un prodotto paritario agli altri e inserirsi nel mercato senza attraversare l’attesa che implica il sottoporre manoscritti alle case editrici, o peggio, incappare in rifiuti. Inoltre, la percentuale di guadagno, in assenza di intermediari tra il produttore e i consumatori, se non la piattaforma d’appoggio, è più alta. Il lato negativo è che quest’ottima e provvidenziale apertura è indistinta, non c’è filtro, tutti sono e si sentono scrittori, e il lavoro di editor e case editrici viene inevitabilmente svalutato. Sì, è encomiabile che un autore riesca ad occuparsi del proprio romanzo in ogni suo aspetto, ideazione, creazione, pubblicazione, promozione, ottenendone il massimo profitto. Il logo di una CE sulla copertina, d’altronde, non rende automaticamente una storia più valida, emozionante, coinvolgente, autentica, più degna o meno degna. Ma è anche vero che il logo di una CE sulla copertina non rende automaticamente una storia filo capitalista, antiliberale e commerciale. Si presuppone che quel logo sia il risultato di una sinergia tra professionisti del settore, pronti ad offrire il loro sapere e la loro esperienza al servizio della storia in questione e di chi l’ha scritta. La problematica conseguenza del self, secondo la mia modesta opinione, è la diffusione dell’idea che la figura dell’editor sia tranquillamente assimilabile a quella dello scrittore stesso e della convinzione che quest’ultimo non abbia bisogno, in fondo, d’imparare e crescere grazie a coloro che studiano e lavorano affinché l’opera migliori ed esprima le sue massime potenzialità.  

Quali sono i tuoi progetti futuri?

In questo momento sto lavorando a due romanzi in contemporanea. Follia, ebbene sì. Il primo è il seguito de Il Re di picche e la Regina di cuori, ovviamente, e il secondo è un progetto a sorpresa, un nuovo romance più breve e un po’ particolare.

Grazie ad Angelica Cremascoli per averci dedicato il suo tempo. In bocca al lupo e buona scrittura!

E voi avete letto  Il Re di Picche e la Regina di Cuori?

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